Ricorso per illegittimita' costituzionale proposto dalla regione Lombardia, in persona del presidente in carica della giunta regionale, dott. Florinda Ghilardotti, a cio' autorizzata con delibera della giunta regionale, che verra' debitamente depositata con il ricorso notificato, rappresentata e difesa, per mandato del presente atto, dagli avvocati Maurizio Steccanella, del foro di Milano, e Giovanni C. Sciacca, del foro di Roma, presso il quale, in Roma, via G. B. Vico, n. 29, elegge domicilio, contro e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, sedente in Roma, piazza Colonna, palazzo Chigi, ed altresi' legalmente domiciliata presso la Avvocatura generale dello Stato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art. 2, primo comma, del d.P.R. 13 febbraio 1993, n. 40, recante "Revisione dei controlli dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni, ai sensi dell'art. 2, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 42 del febbraio 1993, la' dove si stabilisce che il Presidente del Consiglio dei Ministri "emana direttive" alle commissioni statali di controllo sugli atti amministrativi delle regioni; nonche' per la conseguente declaratoria di illegittimita' costituzionale del terzo comma del medesimo articolo del citato d.P.R., con riferimento alla parte nella quale si dispone che il comitato tecnico, istituito a mente del precedente secondo comma del medesimo articolo, "propone al Presidente del Consiglio dei Ministri l'adozione delle direttive di cui al primo comma". F A T T O 1. - La legge 23 ottobre 1992, n. 431, recante "Delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale", all'art. 2, intitolato "Pubblico impiego", ha conferito delega al Governo della Repubblica per emanare uno o piu' decreti legislativi, dettando (art. 76 della Costituzionale), quanto all'oggetto, ai principali e ai criteri direttivi degli emanandi decreti, i seguenti: (primo comma, lett. h): ..prevedere la revisione dei controlli amministrativi dello Stato sulle regioni, concentrandolo sugli atti fondamentali della gestione ed assicurando la audizione dei rappresentanti dell'ente controllato, adeguando altresi' la composizione degli organi di controllo anche al fine di garantire la uniformita' dei criteri di esercizio del controllo stesso". 2. - Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 20 febbraio 1992, n. 42, e' stato pubblicato il decreto legislativo emanato in attuazione specifica di quella particolare delega legislativa, vale a dire il d.P.R. 13 febbraio 1993, n. 40, recante "Revisione dei controlli dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni, ai sensi dell'art. 2, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421". 3. - Tale d.P.R., dopo aver premesso - all'art. 1 - che il controllo e' e rimane "di legittimita'" e dopo avere espressamente esclusa ogni diversa valutazione dell'interesse pubblico perseguito, specifica analiticamente quali siano i ritenuti "atti fondamentali della gestione", e quindi dispone, all'art. 2, primo comma, che "Allo scopo di assicurare il coordinamento 'o' di favorire comuni indirizzi nella attivita' di controllo", il Presidente del Consiglio dei Ministri emana "direttive" alle commissioni statali di controllo. 4. - Successivamente, il terzo comma del medesimo art. 2 del citato d.P.R., sancisce che il comitato - definito tecnico - istituito dal precedente secondo comma, formuli al Presidente del Consiglio dei Ministri proprie proposte per l'adozione delle anzidette "direttive". 5. - Le disposizioni di cui sopra, oggetto del presente ricorso, appaiano costituzionalmente illegittime, sotto i seguenti profili: violazione dell'art. 125 della Costituzione; violazione conseguente dell'art. 118 della Costituzione; violazione dell'art 76 della Costituzione. Esse, vanno, pertanto dichiarate costituzionalmente illegittime, in accoglimento presente ricorso che si fonda sulle seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione ed esorbitanza rispetto ai limiti della delega legislativa conferita al Governo della Repubblica. La legge delega (23 ottobre 1992, n. 421) ha esteso la delega conferita al Governo della Repubblica alla materia della revisione del sistema dei controlli sugli atti amministrativi delle regioni, con evidente limitato riferimento all'ordinamento del pubblico impiego, se solo si considera che tale e' l'oggetto e la intitolazione dell'art. 2, nel quale e' inserita, al primo comma la lett. h) che quella specifica delega attribuisce (criterio "sistematico" della interpretazione). Poiche' nel nostro sistema costituzionale, la potesta' legislativa appartiene al Parlamento, laddove una potesta' legislativa delegata al Governo rappresentata una eccezione, come tale (artt. 76 e 77 della Costituzione) circoscritta entro limiti ben definiti e tassativi, tali da costituire indubbio criterio di stretta interpretazione di ogni e qualsiasi legge di delega, non pare dubbio che la collocazione della norma in questione nell'ambito della specifica disciplina concernente il pubblico impiego, comporta quanto meno il "dubbio" che il legislatore delegato (Governo) potesse, senza violare l'art. 76 della Costituzione, riformare profondamente in via generale l'istituto del controllo sugli atti amministrativi delle regioni, esprimendosi - appunto - per verba generalia e senza limitarsi all'oggetto definito", quale esso risultava indirettamente dalla rubrica e dal restante contenuto dell'art. 2 della legge delega n. 421/1992. Al di la' di cio', tuttavia, ed in secondo luogo, ben altre e piu' rilevanti appaiono le "esorbitanze" addebitabili alla decretazione delegata in argomento, rispetto alla delega conferita dal Parlamento. Infatti, al dichiarato scopo di ridurre l'ambito oggettivo della attivita' di controllo da "concentrare sugli atti fondamentali della gestione", e secondo l'imposto criterio di delega di "assicurare l'audizione dei rappresentanti dell'ente controllato" (istituzionalizzazione di una sorta di "contraddittorio" procedimentale nell'esercizio del controllo), il Parlamento ha ulteriormente dettato il "criterio direttivo" (sempre in ossequio all'art. 76 della Costituzione) secondo il quale "anche" al fine (considerato, dunque, un fine complementare e per cosi' dire "secondario") di garantire la uniformita' "dei criteri" di esercizio del controllo, che e' cosa ben diversa da una pretesa e presunta "identita' cogentemente predeterminata" della attivita' di controllo nella sua concreta esplicazione (singoli atti di controllo), il Governo della Repubblica poteva procedere all'adeguamento della composizione degli organi di controllo (commissioni statali). Era pertanto evidente l'intento del legislatore delegante: consentire al Governo di perseguire "anche" quell'obiettivo ("uniformita' dei meri criteri") operando - tuttavia - a questo fine con lo specifico e individuato strumento dell'adeguamento della composizione degli organi (omogeneita' di qualificazione professionale, comunanza di "sensibilita'" giuridico-amministrativa, eguale estrazione in chiave di prevedibile consonanza rispetto alle esigenze da tutelare nell'esercizio del controllo, ecc.), e non altrimentiÝ Viceversa, l'art. 2, secondo comma, del decreto-delegato omette del tutto di "armonizzare" e di rendere "omogenee", quanto alla loro composizione, le commissioni statali di controllo, istituendo, invece - il che e' tutt'altra cosaÝ - un comitato tecnico "centrale", al quale e' demandato ben altro e piu' incisivo compito: a) "assicurare il coordinamento", che e' anch'essa cosa ben diversa dal semplice "garantire la uniformita' dei soliti criteri" (legge delega); b) ovvero ("o") "favorire comuni indirizzi", che, pur con qualche sforzo interpretativo, puo' ritenersi accezione equivalente al "garantire la uniformita' dei criteri" di cui alla legge delega. Appare chiaro, allora, che il Governo - legislatore delegato - ha ecceduto rispetto ai limiti della delega, non solo nel modus (un comitato tecnico centrale, in luogo di commissioni statali omogenee), ma nello "oggetto definito" individuato nella delega legislativa conferitagli, perche' se si e' voluta favorire la uniformita' degli indirizzi, vi si e' aggiunto ("o") un "coordinamento" delle singole commissioni, del tutto assente dalla previsione della legge di delegazione ed attuato attraverso la creazione di un apposito organo centrale assolutamente non previsto in essa. Molto piu' grave appare, tuttavia, la esorbitanza rispetto ai limiti della delega legislativa, allorche' ci si imbatte nella attribuzione di una potesta' di impartire "direttive" alle commissioni statali di controllo, attribuita al Presidente del Consiglio dei Ministri, ed altresi' in una funzione di proposta circa il contenuto di tali direttive, attribuita al comitato tecnico, assolutamente non previsto ne' come tale, ne' quanto all'anzidetta funzione, dalla legge delega, la quale aveva, invece, affidato il soddisfacimento della (diversa) esigenza di garantire la mera uniformita' di criteri al solo mezzo di adeguare la composizione degli organi deputati ad applicare i criteri stessi, cioe' al concreto esercizio del controllo. 2. - Violazione degli artt. 125, e - di riflesso - dell'art. 118, nonche', sotto altro profilo, ancora dell'art. 76 della Costituzione. Che il controllo sugli atti amministrativi delle regioni (come, del resto, ogni altra ipotesi di controllo di questa specie, nel nostro attuale ordinamento) sia unicamente un controllo di mera legittimita', non puo' essere assolutamente posto in dubbio: sarebbe addirittura irriguardoso soffermarvisi. L'art. 125 della Costituzione, correlato con la conclamata pienezza delle funzioni amministrative spettanti alle regioni, l'esercizio delle quali da' - appunto - luogo alla produzione degli atti assogettati al controllo, costituiscono disposizioni e pongono principi basilari del sistema istituzionale autonomistico, non suscettibili di elusione o di "erosione" da parte del legislatore ordinario. Se non bastasse, la "Carta Europea dell'autonomia locale" del 15 ottobre 1985, ratificata e resa esecutoria in Italia, con legge 30 dicembre 1988, n. 439, sancisce, all'art. 8, secondo comma, il medesimo principio, palesemente principio fondamentale del vigente ordinamento giuridico. Non solo .. Lo stesso d.P.R. n. 40 del 13 febbraio 1993, oggetto, in parte qua, di impugnazione in questa sede, esordisce (art. 1) con una affermazione categorica, allorche', ribadendo il carattere "di legittimita'" del controllo, ha cura di specificare "esclusa ogni diversa valutazione dell'interesse pubblico perseguito", il che, non potendo rappresentare una inutile e ovvia ripetizione del gia' confermato carattere di mera legittimita' del controllo, sta, piuttosto a significare che, anche sul, terreno della legittimita', resta escluso il vaglio del c.d. "eccesso di potere" che e' - si' - vizio di legittimita', ma bene spesso consiste nell'irragionevole o ingiustificato apprezzamento di pubblici interessi, ovvero nel distorcimento o nella trascuranza di essi, ovvero ancora in una travisata, discriminatoria, apparente, incongrua, contraddittoria o immotivata loro valutazione. Configurato il controllo entro limiti siffatti (in pratica, destinato a rilevare soltanto violazioni di legge, o incompetenza di organi), riuscirebbe gia' .. difficile collocare, nell'esercizio della funzione da parte delle commissioni statali, "criteri" che eccedano i generali canoni ermeneutici e le regole della interpretazione delle norme. Ancora piu' arduo diviene scorgere quali possano essere i "comuni indirizzi", previsti, sia pure come attribuzione del comitato tecnico istituito con il secondo comma, dell'art. 2 del d.P.R. in argomento, giacche' un "indirizzo" nel rilevare o non rilevare violazioni di legge o vizi di incompetenza, o - se si vuole - inosservanze di limiti finanziari e di vincoli di bilancio, esiste in rebus e deve essere in ogni caso "comune" a tutte le commissioni: quello - e quello soloÝ - di non consentire trasgressioni ai precetti vigenti, specie se si riflette che - come detto all'inizio - la delega legislativa di cui si tratta e' stata concepita e inquadrata sistematicamente nella materia del pubblico impiego, regolata, quant'altre mai, da disposizioni inderogabili e puntualiÝ. Ma il d.P.R. n. 40/1993 attribuisce, invece, al Presidente del Consiglio dei Ministri una potesta' di impartire, alle commissioni statali di controllo, proprie "direttive" (art. 2, primo comma), ed altresi' attribuisce (terzo comma del medesimo articolo) al comitato tecnico che e' organo centrale della amministrazione dello Stato, composto per 5/7 da personale della amministrazione (o appartenente ad organi) dello Stato, e per i restanti 2/7 non gia' da amministratori delle regioni controllate, ne' da persone da questi ultimi designate, ne' da esperti "esterni", ma da meri impiegati regionali, un potere di formulare al Presidente del Consiglio dei Ministri le proposte concernenti il contenuto delle anzidette "direttive". Si constata, in tal modo, una autentica e visibile "gerarchizzazione" dell'esercizio del controllo, in quanto le "direttive" costituiscono un istituto tipico del rapporto gerarchico, o almeno di un rapporto di sovraordinazione funzionale. Non vi e' alcun bisogno di cimentarsi in ricerche .. semantiche o lessicali, per convincersi che l'istituto della "direttiva" si ricollega ad una potesta' di imperio esercitabile nei confronti di un soggetto legato da vincolo di subordinazione. La "direttiva" e' solo un sinonimo dello "ordine di servizio", o, se si preferisce, della "circolare" che l'organo centrale e apicale emette nei confronti dei soggetti sottordinati e periferici che debbono prestarvi osservanza. Il controllo diviene, in tal modo, estrinsecazione gerarchizzata di amministrazione attiva, snaturandosi del tutto in se stesso, e ponendosi in aperto conflitto con gli artt. 125 e, conseguentemente, 118 della Costituzione, dal punto di vista della autonomia delle regioni, gli atti delle quali possono, viceversa, soggiacere unicamente ad un controllo di legittimita' che deve essere esercitato attraverso un "giudizio" dell'organo a cio' deputato, a sua volta sottratto e qualsivoglia subordinazione che condizioni, con criterio burocratico e gerarchico la espressione del giudizio medesimo. Non e' il caso di spingersi a considerare la magistratura e la funzione giurisdizionale (pur con cio' che si dira' circa la essenza "paragiurisdizionale" della attivita' di controllo), ma bastera' considerare che il nostro ordinamento non consentirebbe alcuna specie di "direttiva" intesa a vincolare i giudizi dei docenti nell'esercizio della loro attivita' di valutazione dei discenti, o i giudizi dei collaudatori delle opere pubbliche, ovvero i giudizi delle commissioni mediche militari, seppur impartite parte di ufficiali medici superiori in grado (per far soltanto alcuni esempi) .. Solo negli ambiti della amministrazione attiva e all'interno di una organizzazione gerarchica puo' darsi ingresso a istituti come la "direttiva", ma la funzione di controllo non e', per definizione, esercizio di amministrazione attiva, ne' le commissioni di controllo possono assimilarsi a organi od uffici subordinati a quale che sia organo od ufficio loro funzionalmente sovraordinato. Tanto valeva, a questo punto, proporre una riforma costituzionale intesa a ripristinare il controllo da parte dei prefetti (i quali, gerarchicamente subordinati all'esecutivo, sono, per loro natura e collocazione, soggetti destinatari di ogni sorta di "direttive")Ý. Non a caso si e' parlato di carattere "paragiurisdizionale" della funzione di controllo. Tale carattere discende, innanzitutto, dal contenuto di "giudizio" che essa ha; e tale carattere risulta - paradossalmente - accentuato dalla stessa legge delega 23 ottobre 1993, n. 421, la quale ebbe a porre, come uno dei "criteri" della delega, quello di "istituzionalizzare"il "contraddittorio procedimentale", allorche' (lett. h) del primo comma, dell'art. 2, essa dispose per la "assicurazione della audizione dei rappresentanti dell'ente controllato". Senonche', della "assicurazione della audizione dei rappresentanti dell'ente (regioni) controllato", non vi e' traccia nel d.P.R. 13 febbraio 1993, n. 40, per cui qui si deduce una ulteriore violazione dell'art. 76 della Costituzione, sotto specie di inosservanza dei "criteri direttivi" della delega legislativa, con evidentissima lesione della autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni. Queste ultime, infatti, pur soggette a subire, in occasione del controllo esercitato sui loro atti, gli effetti delle "direttive" del Presidente del Consiglio dei Ministri, non risultano affatto poste in condizione di vantare una posizione giuridica legislativamente consacata e tetelabile ad essere, quanto meno, "audite", nella concreta estrinsecazione del procedimento di controllo sui propri atti .. In dottrina, Onorato Sepe, alla voce "Controlli", nella recente "Enciclopedia giuridica Treccani", si esprime come segue. "La struttura del potere di controllo e' stata vista a lungo come un accertamento (giudizio sulla attivita' controllata) ..". E soggiunge: "Nell'ambito delle definizioni appare ancor oggi quindi veramente comprensiva quella di un potere che, avendo per fine la tutela di valori espressi o istituzionalmente protetti dall'ordinamento, si struttura in un giudizio sulla normalita' o meno dell'agire .. Come corollari sono da assumere quelli .. della tipicita' del controllo ..". Ancora piu' significativo e' quanto lo stesso autore (ibidem) afferma subito dopo: "la dottrina .. ancorandosi al concetto di neutralita' dei controlli, ha ritenuto che il controllore non debba perseguire fini concreti (questi sono propri della amministrazione attiva), ma debba esigere il rispetto dei canoni astratti posti dall'ordinamento". Se si riflette che lo stesso d.P.R. qui impugnato esclude dai contenuti del controllo la valutazione dello eventuale "eccesso di potere" dell'atto controllato ("esclusa ogni diversa valutazione dello interesse pubblico perseguito .."), riuscirebbe difficile rinvenire una piu' appropriata e perspicua definizione giuridica di quella citata del Sepe, della funzione di controllo, per l'esercizio della quale una qualsiasi previsione di "direttive" appare snaturante, istituzionalmente aberrante e quindi costituzionalmente illegittima. La Corte dei conti, pur avendo rango istituzionale di magistratura, adempie a funzioni non dissimili, e di certo nessuno pensa che essa possa essere oggetto di "direttiva" da parte di chicchessi'a. Piace ricordare, infine, che lo stesso autore citato (Sepe) con- clude affermando che taluno (Nulli A.S. "I controlli sugli atti degli ee. territoriali nella Costituzione", in Riv. Trim. Dir. Pubblico, 1972, I, 78; Saraceno D. "Il sistema dei controlli amministrativi nello stato delle autonomie", in Nuova Rass. 1980, n. 1) ha sostenuto che i controlli dovrebbero essere demandati ad un "magistrato che operi super partes". E' costituzionalmente ammissibile che organi esecutivi dello Stato possano, in subiecta materia, impartire "direttive"?. Certamente no. Il carattere "paragiurisdizionale" della funzione di controllo e' evidenziato anche dalle forme nelle quali essa si esercita: termini tassativi, decadenze, divieto di rilevare ulteriori elementi di giudizio al di fuori di quelli inizialmente rilevati e richiesti ad integrazione (unicita' delle ordinanze c.d. "istruttorie"), efficacia del silenzio, ecc., ecc.. Cosi' stando le cose, non appare in alcun modo costituzionalmente legittima la previsione di una potesta' di "direttiva" che possa essere esercitabile dal Presidente del Consiglio dei Ministri, (con o senza proposta formulatagli da un organo ugualmente "centrale" dello Stato, quale e' il comitato tecnico, non previsto dalle legge di delega) nei confronti degli organi deputati all'esercizio del controllo. Cio', anche a prescindere dalla vistosa esorbitanza rispetto alla delega legislativa, gia' dedotta ed argomentata nella prima parte del presente ricorso. Un'ultima notazione. La legge delega (sotto questo profilo, ottemperata dal d.P.R. n. 40) si e' proposta di "ridurre" l'ambito degli atti soggetti a controllo ("atti fondamentali della gestione"), per cui si evidenzia come ulteriormente illegittima, anche sotto il profilo di una irragionevole contraddittorieta' rispetto alla volonta' del legislatore delegante, la contestuale e burocratica "gerarchizzazione" della funzione, quale risulta dal neoistituito potere di "direttiva". In realta', attraverso il potere di "direttiva", il controllo in questione si trasforma in "cogestione", in "approvazione", in un sistema istituzionale di atti complessi sia pure a complessita' diseguale, per cui organi dello Stato (Presidente del Consiglio dei Ministri - comitato tecnico "centrale") si ingeriscono nella gestione degli affari regionali e nell'esercizio delle funzioni che alle sole regioni, viceversa, competono, il che e' del tutto al di fuori e oseremmo dire agli antipodi del sistema istituzionale delineato dalla Costituzione della Repubblica.